A Farra d’Isonzo, per gli amanti del vino, c’è una chicca. Ma non è per tutti. Fulvio Bressan, infatti, è disponibile ad accogliere (previa obbligatoria e necessaria prenotazione) soltanto coloro i quali condividono la sua filosofia. A proposito del vino, ovviamente. Un semplice foglio dattiloscritto è appoggiato con noncuranza su uno dei tavoli che caratterizzano l’ineguagliabile spazio degustazione. Uno spazio che soltanto una donna di buon gusto, qual è Jelena, avrebbe potuto immaginare all’interno della cantina. Perché le degustazioni vanno fatte lì, dove il nettare viene creato, vicino alle botti. Per assaporare appieno lo spirito che sta alla base di un lavoro immane. E così, Fulvio Bressan si racconta:

“Credo nella mano sicura di mio padre e di coloro che prima di lui per dieci generazioni hanno profuso il loro lavoro con impegno e dedizione sugli stessi filari.

Credo nella nostra terra, unica, leale, serena e riconoscente dell’ambiente che la circonda.

Credo nella vigna, povera ed umile, ma al contempo, regina madre generatrice di un incredibile patrimonio di aromi.

Credo nella sensibilità “artistica” ed artigianale del maestro, orgoglioso del proprio lavoro e delle proprie idee, alla tradizione del suo gesto, frutto di secolari esperienze maturate dalla coltivazione personale del vigneto.

Con questi valori e vero orgoglio per i risultati raggiunti, produco ancora Vino, senza supponenza o presunzioni, ma curioso ed attento al percorso dell’antica scienza dell’enologia con il rifiuto categorico delle moderne tecnologie.

Non sono biologico, anche se la mia regola personale mi impone condizioni di vigna e di cantina ancora più severe di quelle delle varie “certificazioni”.

Non sono biodinamico perché so che purtroppo le regole possono essere cavalcate dalle mode e so che nulla è più facile che imporre regole per poi violarle, approfittandosi, così, dell’ingenuità degli altri…

La maggior parte dei vini attualmente prodotti nel mondo sono omologati, appiattiti nei caratteri, standardizzati, incapaci di sfidare il tempo a causa dell’uso indiscriminato della chimica sia nei vigneti, che in cantina. Questo modo di operare mortifica l’impronta del vitigno, l’incidenza del territorio e la personalità del produttore.

Dalle considerazioni sopra citate si ricavano le regole che la nostra azienda ha sempre seguito:

¤  Selezione manuale massale delle viti ed uso preferenziale di ceppi autoctoni (vietata la clonazione  e tutti gli O.G.M.)

¤ Potatura, spollonatura eseguite solo manualmente.

¤ Coltivazione personale del vigneto senza l’utilizzo di sostanze chimiche di sintesi, rispettando la vite ed i suoi cicli naturali (esclusione totale di diserbanti e/o dissecanti e/o pesticidi)

¤ Utilizzo esclusivo di concimi naturali, cioè stallatici o vegetali, oppure nessuna concimazione.

¤ Vietata l’irrigazione, anche di soccorso, perché l’acqua, da sempre, diluisce il corredo aromatico e l’intensità del vino.

¤ Vendemmia fatta solo manualmente delle uve perfettamente sane e mature (no vendemmie anticipate).

¤ Fermentazione ottenuta grazie ai lieviti indigeni naturalmente presenti sull’uva, escludendo assolutamente l’uso di lieviti industriali sintetici.

¤ Nessuna aggiunta ai mosti di anidride solforosa o altri additivi / nessun intervento chimico

   (l’anidride solforosa potrà essere aggiunta solo in minime quantità al momento dell’imbottigliamento e comunque in quantità inferiore o uguale alla certificazione biologica).

¤ Vietato l’utilizzo di aromatizzanti biologici e/o chimici.

¤ Maturazione del vino sulle proprie “fecce fini” fino all’imbottigliamento.

¤ Nessuna filtrazione (pratica che, comunque  e sempre, impoverisce e sterilizza il vino)

¤ Utilizzo esclusivo di tappi di sughero rigorosamente monopezzo naturale, affinché ogni vino abbia nel tempo il suo miglior alleato.

¤ Etichettatura rigorosamente manuale (…ogni bottiglia è una creatura unica…).

Operando in questo modo credevo di essere un’entità talmente fuori da quella che è la visione generale del mercato, da farmi passare la voglia di raccontare quello che faccio… forse sono solo un idealista che dico quello che penso e faccio quello che dico, uno dei rari superstiti che hanno ancora il coraggio di produrre “vini veri”.

Sicuramente vivo ed opero in “un’isola” dove è possibile ancora trovare il piacere di certe tradizioni ormai scomparse, dove ritornare a guardare il vino con gli occhi di chi vuol comprendere e non solo accettare.”

Per saperne di più e per le informazionidi contatto: http://bressanwines.com/index.html